A proposito di reliquie ................ Di Padre Francesco Stabile
Non ho nulla contro le reliquie. So che oggi alcuni portano a casa le ceneri dei loro morti. Non mi fa impressione che ci teniamo le reliquie. Quello che è diverso è il contesto sacrale in cui si collocano le reliquie, come una modalità di partecipazione alla vita divina per contatto. La comunicazione della vita divina è dono e la partecipazione avviene nell’ascolto della Parola, nell’esperienza di comunione con Cristo attraverso i segni sacramentali e l’abbraccio di amore alla persona umana. La pietà popolare cattolica ha dato valore taumaturgico non solo alle iconi, ma anche alle reliquie e a tutto ciò che si ritiene sacralizzato perché a contatto con il mondo del sacro o con una persona ritenuta sacra. Nel concilio di Trento fu posta la questione se mantenere il culto dei santi e delle reliquie o semplicemente trovare nei santi i testimoni e i modelli di vita cristiana. Fu scelto un compromesso che poneva i santi come modelli di vita, ma si lasciava il culto, anche se regolato, per venire incontro a una chiesa di popolo.
Oggi nella chiesa si nota in un momento grave emergenza esistenziale e sociale un ritorno vivace al passato nel culto dei santi invocati come intercessori per la soluzione dei mali della vita. A Bagheria quest’anno abbiamo avuto le reliquie di Santa Chiara, il sangue di Giovanni Paolo II, il reliquiario delle lacrime della Madonna di Siracusa. Che i santi siano segni della presenza di Dio nella storia umana è fuori dubbio, è il modo con cui ci rapportiamo ad essi che pone qualche riflessione.
La storia umana è sempre sotto il segno della crisi, ma come usare discernimento, cosa fare? Dopo il fallimento ottimistico che la scienza avrebbe risolto tutti i problemi, rimane senza risposta la gran parte della sofferenza umana. Perciò il ricorso a una via di sicurezza che faccia uscire dal buio. Il ricorso però, come si sta accentuando ora, alla presenza demoniaca o al miracolo per dare risposte alle sofferenze umane, attribuendo i mali a forze sovrumane, rischia di deresponsabilizzare le coscienze nella convinzione che nessuno sforzo umano può risolverle, meglio perciò che ne affidiamo la soluzione ai santi e, nel migliore dei casi a Maria e a Gesù Cristo.
Questa premessa la ritengo necessaria per parlare del caso della reliquia del beato Giuseppe Puglisi che gira per ora nelle parrocchie dalla nostra diocesi. Siamo certi che la vita di Puglisi fu vissuta, in adesione al Vangelo, nel segno della piena libertà e responsabilità, perciò vorrei sottolineare che il piegare l’attenzione sulla reliquia può mettere in sordina la forza della sua testimonianza. Quando cominciammo a chiedere che la chiesa dichiarasse ufficialmente l’uccisione di don Giuseppe Puglisi da parte dei mafiosi come martirio cristiano, alcuni amici impegnati nel cammino di liberazione umana dissero che si correva il rischio di ridurre Puglisi a un santino devozionale. Il nostro obiettivo era invece di ottenere con la beatificazione il riconoscimento di un modello di prete, di cristiano e di cittadino, illuminato dal vangelo di Cristo.
Il traguardo è stato raggiunto in questa primavera del 2013 con grandissima gioia non solo del mondo ecclesiale, ma di tutta la società. Vogliamo guardare alla testimonianza evangelica di Puglisi come riferimento puntuale per costruire non solo una comunità ecclesiale radicata nella vita del territorio, capace di ascoltare il lamento del popolo sofferente e di prendersi cura delle sue ferite, ma anche di porsi come baluardo in difesa dei poveri contro ogni forma di dominio sull’uomo. Questo richiedeva che la comunità ecclesiale che aveva ricevuto il dono di questo martirio, lo vivesse come rinnovamento della vita ecclesiale secondo il vangelo. Che questo messaggio non sia stato recepito in modo radicale si coglie dal fatto che questa chiesa non riesce ancora a dire una parola di pentimento per i silenzi e le connivenze del passato di fronte al male di mafia e non si accorge che quel tipo di religiosità che viene ora riproposta sta all’origine di quegli atteggiamenti e della difficoltà di molti ambienti ecclesiali di entrare nella vita reale della nostra gente.
Si tratta di fatto di una decisione pastorale che si inserisce nel solco di una vecchia tradizione che fa prevalere l’aspetto devozionale su quello della esemplarità della sua vita. Non so quali effetti duraturi di crescita delle nostra comunità darà questo pellegrinare della reliquia, so soltanto, come a me pare, che venga tradito lo spirito di Puglisi, amico della Parola di Dio e lontano da queste modalità devozionali, che ora si vede però ridotto a oggetto devozionale.
di Padre Francesco Stabile
reliquia di P.Pino Puglisi
Oggi nella chiesa si nota in un momento grave emergenza esistenziale e sociale un ritorno vivace al passato nel culto dei santi invocati come intercessori per la soluzione dei mali della vita. A Bagheria quest’anno abbiamo avuto le reliquie di Santa Chiara, il sangue di Giovanni Paolo II, il reliquiario delle lacrime della Madonna di Siracusa. Che i santi siano segni della presenza di Dio nella storia umana è fuori dubbio, è il modo con cui ci rapportiamo ad essi che pone qualche riflessione.
La storia umana è sempre sotto il segno della crisi, ma come usare discernimento, cosa fare? Dopo il fallimento ottimistico che la scienza avrebbe risolto tutti i problemi, rimane senza risposta la gran parte della sofferenza umana. Perciò il ricorso a una via di sicurezza che faccia uscire dal buio. Il ricorso però, come si sta accentuando ora, alla presenza demoniaca o al miracolo per dare risposte alle sofferenze umane, attribuendo i mali a forze sovrumane, rischia di deresponsabilizzare le coscienze nella convinzione che nessuno sforzo umano può risolverle, meglio perciò che ne affidiamo la soluzione ai santi e, nel migliore dei casi a Maria e a Gesù Cristo.
Padre Pino Puglisi
Io ritengo che dobbiamo insistere sulla responsabilità di ogni uomo e delle istituzioni a risolvere i problemi umani perché Dio ha affidato alla nostra libertà e responsabilità la storia sia personale che collettiva, è nelle nostre mani e questo senza cercare alibi. Solo dopo che abbiamo fatto tutto ciò che dipende da noi, possiamo abbandonarci all’amore fiducioso di Dio Padre che ci ama e che dirà l’ultima parola sulla nostra vita e sulla storia umana.Questa premessa la ritengo necessaria per parlare del caso della reliquia del beato Giuseppe Puglisi che gira per ora nelle parrocchie dalla nostra diocesi. Siamo certi che la vita di Puglisi fu vissuta, in adesione al Vangelo, nel segno della piena libertà e responsabilità, perciò vorrei sottolineare che il piegare l’attenzione sulla reliquia può mettere in sordina la forza della sua testimonianza. Quando cominciammo a chiedere che la chiesa dichiarasse ufficialmente l’uccisione di don Giuseppe Puglisi da parte dei mafiosi come martirio cristiano, alcuni amici impegnati nel cammino di liberazione umana dissero che si correva il rischio di ridurre Puglisi a un santino devozionale. Il nostro obiettivo era invece di ottenere con la beatificazione il riconoscimento di un modello di prete, di cristiano e di cittadino, illuminato dal vangelo di Cristo.
Il traguardo è stato raggiunto in questa primavera del 2013 con grandissima gioia non solo del mondo ecclesiale, ma di tutta la società. Vogliamo guardare alla testimonianza evangelica di Puglisi come riferimento puntuale per costruire non solo una comunità ecclesiale radicata nella vita del territorio, capace di ascoltare il lamento del popolo sofferente e di prendersi cura delle sue ferite, ma anche di porsi come baluardo in difesa dei poveri contro ogni forma di dominio sull’uomo. Questo richiedeva che la comunità ecclesiale che aveva ricevuto il dono di questo martirio, lo vivesse come rinnovamento della vita ecclesiale secondo il vangelo. Che questo messaggio non sia stato recepito in modo radicale si coglie dal fatto che questa chiesa non riesce ancora a dire una parola di pentimento per i silenzi e le connivenze del passato di fronte al male di mafia e non si accorge che quel tipo di religiosità che viene ora riproposta sta all’origine di quegli atteggiamenti e della difficoltà di molti ambienti ecclesiali di entrare nella vita reale della nostra gente.
Padre Pino Puglisi
A soli tre mesi da quell’evento della beatificazione si è fatta la scelta di far girare la reliquia di Puglisi nella diocesi. Non si capisce la motivazione che ha portato a questa decisione. Per quello che mi risulta si tratta di una scelta pastorale, sicuramente in buona fede, che non è stata discussa né in consiglio pastorale né in consiglio presbiterale.Si tratta di fatto di una decisione pastorale che si inserisce nel solco di una vecchia tradizione che fa prevalere l’aspetto devozionale su quello della esemplarità della sua vita. Non so quali effetti duraturi di crescita delle nostra comunità darà questo pellegrinare della reliquia, so soltanto, come a me pare, che venga tradito lo spirito di Puglisi, amico della Parola di Dio e lontano da queste modalità devozionali, che ora si vede però ridotto a oggetto devozionale.
di Padre Francesco Stabile
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